CONSERVAZIONE PEC | QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO PER L'AVVOCATO
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Utilizzo della PEC nell’ambito del P.C.T. – P.A.T.: NECESSITÁ/OBBLIGO DI CONSERVAZIONE sostitutiva della PEC?

Per quanto concerne il PCT, è ormai ben noto che le notifiche (ma ciò vale anche per i procedimenti penali) ed i depositi vengono effettuati a mezzo PEC (fosse anche per il tramite di applicativi od appositi software). In proposito,  l’art. 20 del Decreto n. 44/2011, emanato dal Ministero della Giustizia, prevede una serie di requisiti relativi alla casella PEC utilizzata dai soggetti abilitati esterni (quindi, non solo avvocati), fra i quali:

  • almeno 1 gigabyte di spazio sul server (Ministero della giustizia PROV 16/04/2014)
  • un sistema di alert che avvisi l’utente nel caso in cui la propria casella di posta sia piena
  • la conservazione delle SOLE RICEVUTE per minimo 30 mesi

In poche parole, il legislatore intende assicurare che il “sistema” possa adeguatamente funzionare facendo in modo che non sia mai pregiudicata la possibilità di utilizzare la casella di posta elettronica certificata, sia per l’invio (ci deve infatti essere spazio sufficiente per poter ricevere le notifiche relative del messaggio inviato) che per la ricezione (il professionista deve poter ricevere le PEC inviategli, soprattutto dalle cancellerie).

Ora, ancorché il legislatore non abbia previsto alcuna sanzione per il caso di violazione delle predette prescrizioni, il loro mancato ottemperamento può creare grossi problemi all’avvocato, come nei casi di seguito esemplificati, concernenti le notifiche a mezzo PEC:

  • se è vero che la normativa (l’art. 3-bis, comma 3, della l. 53/1994) esclude il perfezionamento della notifica effettuata a mezzo PEC nel caso in cui, per qualsiasi motivo, non dovesse essere generata la RAC – ricevuta di avvenuta consegna del messaggio (ad esempio, perché la casella del destinatario è piena), ciò nonostante l’avvocato potrebbe imbattersi in spiacevoli sorprese. Noto è il contenuto dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Viterbo (condivisibile o meno che sia, peraltro inedita), con la quale è stato stabilito che “la notifica si considera perfezionata laddove la mancata consegna del messaggio sia avvenuta per fatto imputabile al titolare dell’indirizzo PEC”;

  • analogo principio è stato più volte ribadito anche dalla Giustizia Amministrativa, ad esempio dal Consiglio di Stato, sez. V, n. 1617/15: Al destinatario che intenda contestarne, in concreto, la valenza e l’idoneità alla trasmissione della conoscenza dell’atto processuale non resta, pertanto, che dedurre il difetto di funzionamento del sistema o una causa di forza maggiore, come tale non imputabile al destinatario, che gli abbia impedito la ricezione del messaggio (PEC, n.d.r.)”;

  • il Tribunale di Milano, con la recentissima sentenza del 20 aprile 2016, ha perentoriamente statuito che, non avendo il professionistafatto diligente uso del proprio account di p.e.c., avendo omesso di controllare con la necessaria periodicità la capienza residua della casella, di scaricare e cancellare i messaggi che ne rendevano satura la memoria e, in definitiva, di porsi in condizione di ricevere il suddetto messaggio della cancelleria”, egli non può essere rimesso in termini per ovviare al fatto di essere incorso in decadenze;

  • la Corte di Cassazione, sez. I Civile, con la sentenza n. 15035/2016, ha stabilito che: “il gestore di PEC, ancorché tenuto all’iscrizione presso un pubblico elenco sottoposto alla vigilanza dell’amministrazione, salvo che sia gestito direttamente da una pubblica amministrazione, rimane comunque un soggetto privato sempre costituito in forma di società di capitali e, quindi, naturalmente, priva del potere di attribuire pubblica fede ai propri atti ex 2699 c.c.
    Non è sempre necessario, pertanto, per superare l’attestazione contenuta nella RAC, proporre la querela di falso … la corte d’appello ha correttamente rilevato che il documento prodotto dal fallito all’udienza di discussione del reclamo, trattandosi di scrittura priva di sicura riferibilità al gestore della sua casella di PEC, non costituiva elemento di prova idoneo a superare la richiamata presunzione di avvenuta consegna dell’atto telematico, discendente dalla precedente emissione della RAC
    ”.

È quindi del tutto evidente che l’avvocato deve preoccuparsi di assicurare il corretto funzionamento della propria casella di posta elettronica certificata.

Ulteriore adempimento al quale è tenuto l’avvocato è quello previsto dall’art. 20, comma 3 del DM 44/11, ai sensi del quale i

“soggetti abilitati esterni” sono obbligati a conservare, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi al dominio giustizia.

A tale ultimo proposito è superfluo sottolineare che non è “mezzo idoneo” per la conservazione delle predette ricevute la stampa dei messaggi (ad abundantiam si richiama una pronuncia della Commissione Tributaria di Grosseto del 23 febbraio 2015, la quale ha stabilito che la prova della notifica della cartella esattoriale effettuata a mezzo PEC non può essere data tramite produzione delle ricevute cartacee di invio e ricezione del messaggio).

Ora, poiché la norma indica semplicemente che la conservazione delle ricevute (rectius, le PEC che le “contengono”) debba avvenire con “ogni mezzo idoneo”, si potrebbe ritenere che sia sufficiente salvare i messaggi PEC contenenti le ricevute di accettazione e consegna (meglio anche quella relativa all’esito dei controlli automatici, al fine di provare – ove si renda necessario – la tempestività del deposito nel PCT) nel proprio client (facendo attenzione al fatto che, spesso, client e server non sono sincronizzati e, quindi le PEC inviate dal client possono non comparire sul server e viceversa e che, inoltre, le PEC inviate tramite applicativi e software, ad esempio “consolle avvocato”, non compaiono né sul server né sul client), nel proprio personal computer e/o attraverso il backup dell’intero sistema (come si vedrà, ciò non è sufficiente, link a se e come conservare).

Certamente non può essere fatto affidamento sul fatto che il gestore della casella di PEC è tenuto a conservare, quantomeno per la durata minima di 30 mesi (il gestore del dominio del Ministero della Giustizia per 5 anni), la traccia informatica delle operazioni compiute dal medesimo, i cd. log dei messaggi (ossia il registro informatico delle operazioni relative alle trasmissioni effettuate mediante posta elettronica certificata ove sono tracciati tutti gli eventi legati al singolo invio, quali, ad esempio, il codice identificativo del messaggio originale, mittente, destinatario, data e ora dell’invio, oggetto del messaggio), posto che, una volta decorsi tali periodi, anche i log vengono eliminati e, in ogni caso, essi contengono informazioni “non esaustive”.

In poche parole, nel caso in cui si dovessero perdere le PEC contenenti le ricevute di invio e di ricezione del messaggio (e di esito dei controlli automatici), il gestore potrebbe fornire solamente “copia” (termine improprio, trattandosi, in buona sostanza, dell’“originale”) dei log delle stesse ma non degli allegati (ad esempio, dell’atto e dei documenti allegati).

Ma vi è di più. Nel caso in cui l’avvocato dovesse “perdere” i messaggi di posta elettronica (nel senso di testo ed eventuali allegati), non ne potrebbe chiedere copia al gestore, potendo ottenere, per l’appunto, solo i log dei messaggi (comunque solamente entro il predetto termine di 30 mesi o in quello eventualmente più ampio previsto dai singoli contratti stipulati con i gestori di posta elettronica certificata): il gestore, quindi, non conserva i messaggi ed allegati ma solo le informazioni relative allo scambio di mail.

Che fare allora nel caso in cui, per qualsiasi motivo, il deposito di un atto non dovesse andare a buon fine e l’avvocato avesse perso le ricevute? Come si potrebbe dimostrare di aver tentato di effettuare il deposito entro i termini processuali, al fine di presentare una richiesta di remissione in termini?

Come visto, potrebbero essere richiesti i log al gestore di posta elettronica certificata ma, in ogni caso, come si potrebbe dimostrare di aver tentato di effettuare il deposito di quel particolare “allegato” (ad esempio, una memoria ex art. 183, VI comma c.p.c. o, peggio, di una memoria generica, il cui contenuto potrebbe essere il più vario), posto che il gestore non lo conserva?

In ogni caso, la necessità di avere spazio libero sul server per poter inviare e ricevere notifiche (per non incorrere nei problemi di cui alla citata giurisprudenza) comporta comunque l’obbligo di eliminare le PEC dal server per liberare spazio nella propria casella e di conservarle con mezzi adeguati (link a se e come conservare).

UTILIZZO DELLA PEC AL DI FUORI DEL PCT: NECESSITÁ/OBBLIGO DI CONSERVAZIONE?

Al di fuori dell’ambito del PCT, la PEC è utilissimo strumento per inviare corrispondenza con il valore di raccomandata a.r. (si pensi a scambio di scritture private, negoziazioni assistite, diffide, lettere per interruzione della prescrizione e quant’altro).

In questo caso, l’esigenza di porsi al riparo per l’eventualità di una perdita delle PEC, il cui “contenuto” ed allegati non potrebbero essere recuperati (non si potrebbe infatti fare affidamento sulla presenza del fascicolo informatico, come accade – ad esempio – nel PCT), impone a maggior ragione il salvataggio dei messaggi.

Inoltre, poiché l’art. 20, 1-bis del Dlt. 82/05 prevede che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità (ndr. si consideri che la firma digitale scade ogni tre anni e che, pertanto, anche in caso di rinnovo dei certificati, il documento firmato con firma ormai scaduta risulterebbe essere non più integro) ed immodificabilità…”, ben si può comprendere l’importanza di conservare adeguatamente le PEC.

Si torna quindi alla problematica relativa alle modalità di conservazione delle PEC.

La Posta Elettronica Certificata (espressamente qualificata “documento informatico” dall’art. 1, lettera F del dpr 68/05) è con il tempo divenuta fondamentale per gli avvocati, vuoi perché strumento di interazione nel Processo Civile Telematico, vuoi per effettuare notifiche ed inviare corrispondenza con valore di raccomandata A.R.

COME CONSERVARE I MESSAGGI DI PEC A NORMA DI LEGGE

Approfondendo ulteriormente il discorso in ordine alla necessità/obbligo di conservazione delle PEC e relative modalità, si devono qui richiamare il Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014 e l’art. 44, comma 1, del CAD.

Il predetto Regolamento UE stabilisce che è documento elettronico qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica. Quindi, il documento elettronico (o informatico che dir si voglia) è tale solamente se è adeguatamente conservato in forma elettronica!

Orbene, poiché l’art. 1, lettera F) del D.P.R. 68/05 stabilisce che il messaggio di PEC è un documento informatico, va da sé che deve anche i messaggi di PEC devono essere conservate “in forma elettronica”.

Venendo alle modalità di conservazione in forma elettronica, l’art. 44 del D.lgs 82/05 (applicabile anche ai professionisti in virtù del rinvio operato dall’art. 2, comma 3 del medesimo D.lgs), rubricato “Requisiti per la conservazione dei documenti informatici”, prevede che il sistema di conservazione debba assicurare l’identificazione certa del soggetto che ha formato il documento, l’integrità del documento, la leggibilità e l’agevole reperibilità dei documenti e delle informazioni identificative, inclusi i dati di registrazione e di classificazione originari, il tutto nel rispetto delle misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del D.lgs n. 196/03, e dal disciplinare tecnico pubblicato in allegato B a tale decreto.

Ora, poiché il documento informatico (quindi anche la PEC) è tale solo se adeguatamente conservato e, come previsto dall’art. 44 sopra citato, poiché la conservazione deve assicurare il rispetto di tutta una serie di requisiti,

è del tutto evidente che i “normali” metodi di conservazione delle PEC di cui si è detto (salvataggio sul client, sul personal computer e/o attraverso il backup dell’intero sistema) non sono “a norma”.

L’analisi della normativa  porta quindi a concludere che l’unica soluzione praticabile è l’utilizzo di un servizio di conservazione delle PEC (messaggi, ricevute ed allegati) effettuato, ai sensi della normativa sulla conservazione documentale, dai Conservatori accreditati presso AgID, i quali ultimi devono:

  • provvedere periodicamente a firmare digitalmente e ad apporre una marca temporale sulle PEC (in entrata e in uscita), in modo tale che i requisiti di autenticità, integrità, immodificabilità e leggibilità del documento informatico, essenziali affinché il contenuto informatico possa essere qualificato come “documento informatico”, siano rispettati. Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera a) e b) del DM 2 novembre 2005, tutti gli eventi registrati nell’intervallo temporale stabilito dal gestore di PEC (non superiore alle ventiquattro ore), alla scadenza di tale intervallo temporale, devono essere inviati in conservazione. senza soluzione di continuità;
  • rispettare la normativa sulla privacy;
  • garantire il pronto reperimento dei documenti da parte del professionista ed a farsi carico di eventuali (seppur remote) responsabilità connesse alla perdita di dei documenti.

Il quadro normativo di riferimento per Posta Elettronica Certificata è fondamentalmente il seguente:

  • P.R. n. 68/05: Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata;
  • DM del 2 novembre 2005: Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata;
  • DPCM del 6 maggio 2009: Disposizioni in materia di rilascio e uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini;

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